A proposito dei femminicidi

Di seguito la lettera del nostro coordinatore, pubblicata oggi dal quotidiano L’Adige

Caro Direttore,

il suo editoriale su l’Adige di fine febbraio pone un problema di rilievo in merito al futuro della società trentina (ma non solo, per la verità): l’aumento di femminicidi sui quali i giornali parlano dopo che sono avvenuti e le espressioni di socialità incapaci di prevenirli. E parla di “rete sfilacciata di una società smarrita”. Diagnosi condivisibile, ma a mio avviso potrebbe essere utile fare un passo i più per capire le cause dello “smarrimento” e della “sfilacciatura”.

Le posizioni culturali ripetute di continuo da stampa, politici, intellettuali richiamano elementi del femminismo: per la prof. Poggio la violenza sulle donne è una malattia sociale che deriva da un mancato superamento dell’idea di un forte asimmetria fra i sessi. Per la psicologa Roberta Bommassar è la reazione al tentativo delle donne di liberarsi dalle loro catene. Per Fitz bisogna che le donne capiscano “che non va accettato niente”.  Sarebbe interessante fare una verifica empirica se i dati confermano queste affermazioni. Pensando all’educazione avuta da giovane nelle ore di catechismo, nelle ore di religione, negli incontri dei giovani di azione cattolica, di GS e della FUCI-Auct ricordo tutt’altre sottolineature. Il matrimonio è una vocazione a costruire una comunità di vita improntata all’amore reciproco. Questo amore è un impegno per la “buona e cattiva sorte” e proprio perché non è facile mantenere a vita un simile impegno ci veniva insegnato, sulle orme di Fulton Sheen, vescovo di New York, che bisogna essere in tre per sposarsi e il terzo è Dio. Se poi ricordo quanto veniva detto ai nostri genitori prima di sposarsi e nella pastorale agli sposi, si insisteva per marito e moglie ad “adempiere ai doveri del proprio stato”, accettando anche dei sacrifici.

C’erano più “omicidi” di donne (ora chiamati femminicidi) allora o ce ne sono di più oggi? Non ricordo un numero così continuo di casi, eppure si è camminati in cinquant’anni nelle ricette richiamate da persone da lei citate. Non è che per caso si debba aver più coraggio nell’identificare nello smarrimento nella nostra società della visione cristiana della vita la causa più rilevante dei fallimenti dei rapporti di coppia e il più facile ricorso all’aggressione del partner?  Non sta forse in ciò smarrimento e sfilacciatura anche della società trentina? Senza nulla togliere ai processi di crescita del ruolo della donna, ma senza scambiare lucciole per lanterne.

Cordiali saluti,

Renzo Gubert

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